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La singolare vicenda riguarda un legale che consegna ai propri assistiti copia di sentenze e verbali di pignoramento da lui formati recanti l'intestazione, l'emblema della Repubblica, la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, il nome del Giudice (effettivamente in servizio) e la sua sottoscrizione vergata a penna.

La Corte di Cassazione ha confermato la misura cautelare del divieto temporaneo di esecitare la professione forense emessa dal GIP e confermata dal Tribunale, sul presupposto che gli atti giudiziari in esame fossero dotati di requisiti formali tali da indurre terzi in buona fede, privi di nozioni giuridiche, a credere che fossero conformi agli originali.
Argomentava al contrario la difesa, che la mancanza di alcuni elementi -quali il timbro di deposito in cancelleria, la firma del cancelliere ed il numero di ruolo- rendesse i medesimi inidonei a ledere la fede pubblica.

La Corte ha osservato che le Sezioni Unite con una recente sentenza (n. 35814 del 28/03/2019), hanno affermato che la formazione di copia di un atto inesistente non integra il reato di falso materiale, salvo che tale copia assuma l'apparenza di un atto originale.

Nel caso di specie, gli elementi mancanti sono quelli riconducibili al tecnicismo proprio dei provvedimenti giudiziari, come tali riconoscibili solo dagli addetti al settore; ciò che rileva, ai fini della configurabilità del reato punito ai sensi degli artt. 476, 482 c.p., è l'impatto che quegli atti possano avere nei confronti della generalità dei soggetti privi di specifiche competenze, ossia della loro idoneità da assumere l'apparenza di originali.


La sentenza per esteso è consultabile in allegato.
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